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Manca solo una manciata di giorni all’appuntamento del 1° giugno, alla partenza della 34.a edizione della Maratona della Valle Intrasca, la marcia non competitiva a squadre di circa 36 Km. che da Intra, raggiunge il rifugio CAI al Pian Cavallone - riunendo idealmente lago e montagne – affiancata dalla più contenuta “Maratonina” di circa 14 Km.
34a Maratona della Valle Intrasca Edizione intitolata a Marco VenianiGli allenamenti sono avviati da tempo e molti sono gli atleti che, nei fine settimana o anche alla sera, provano il percorso – tutto ripulito anche grazie al lavoro della Cooperativa Isola Verde e dei Forestali della Regione Piemonte - per individuarne le caratteristiche, per modularne la percorrenza, per stendere la strategia di corsa, per programmare i tempi.  E’ un bel clima quello che si avverte tra la gente della maratona, sereno e determinato, gioioso ed impegnato, sportivo e competitivo e, in ogni caso, di grande partecipazione.
Si incontrano tutti i tipi possibili di corridori: da coloro che mirano ad abbattere  il già tiratissimo tempo minimo fatto registrare nella storia della manifestazione, a coloro che fanno della marcia una sfida contro sé stessi mirando unicamente a ridurre il proprio tempo personale, qualsiasi esso sia, a coloro che desiderano solo aggiungere un’altra edizione della Maratona a quelle già effettuate in passato.
In un contesto di così grande fermento viene spontaneo guardare anche al passato, alle persone che hanno fatto la storia della maratona, ai protagonisti atleti ed organizzatori;  da loro si sono raccolte molte testimonianze, incominciando da quella di Massimo e Danilo, gli amici che hanno affiancato Marco Veniani (il giovane veterinario verbanese, deceduto l’8 giugno 2006 sul Monte Rosa, al quale è dedicata questa Maratona)  in diverse edizioni della maratona,  tre delle quali con Massimo ed una con Danilo.  Marco e Massimo si conoscevano da sempre, compagni di scuola alle Medie, compagni di camera all’Università.  “Avevamo molte passioni in comune: la famiglia, innanzitutto, in testa ad ogni valore, nostra fede e speranza, essenza del nostro essere; Marco aveva un “sogno nel cassetto”: correre la “Valleintrasca” con le sue figlie, non ne ha avuto il tempo!. E poi ancora la montagna, lo sci , la buona cucina, la corsa, la buona compagnia.   Si era avvicinato alla “Maratona”  più che altro per una sfida con sé stesso, per mettersi alla prova, per allenarsi ad andare in montagna, per lo spirito che accomuna una coppia nell’affrontare la medesima fatica, per divertirsi, sapendo di correre in casa, sulle proprie montagne, tra gente che si conosce, di cui si è amici,  con cui “smanettarsi”.   Prima della partenza Marco era sempre un po’ preoccupato: di non farcela, di avere un obiettivo irraggiungibile. Poi, quando incominciava a correre  il suo spirito gioioso e la competitività  prendevano il sopravvento e nella fatica c’era sempre spazio per la battuta, per la presa in giro e la marcia si trasformava subito in puro divertimento”.

Danilo ha corso con Marco  la Valle Intrasca  nell’edizione dedicata a Lidia. “Ricordo Marco con affetto e nostalgia, è stato uno dei pochi con cui ho avuto feeling totale sul modo di affrontare le avventure sportive che abbiamo avuto assieme: mai troppo rischio, molta fatica, tanta voglia di trovarne sempre diverse e nuove, dalla bicicletta, alla corsa, allo sci-alpinismo. Le nostre parabole si rincorrevano, Lui diceva che la mia prima o poi sarebbe arrivata all'apice e con la sua ancora in salita, essendo più giovane, mi avrebbe raggiunto e superato… e con questi discorsi faticavamo e sudavamo divertendoci.27a Maratona del 2001 Trofeo Città di Verbania a ricordo di Lidia
Mi arrabbio al pensiero di come è morto, perché è anche un poco colpa sua e non doveva succedere, non doveva fidarsi di un cordino vecchio... non ho falsi timori a parlare così, è la pura verità e parlarne può servire a salvare qualche altra vita. Ho anch'io la mia colpa per come mi è morta la compagna di vita e di giochi Lidia, è morta 7 anni prima di Marco e a poche centinaia di metri da dove è morto Lui. Su quella stessa parete del Monte Rosa, colpita da un grosso sasso, uno solo, mentre sostavamo senza che mi fossi preoccupato di ripararci... e pure c'era un grosso masso a pochi passi. Anche Lidia era come Marco e come me, e giocavamo a faticare ed a salire le montagne divertendoci. L'idea di fare quella sua ultima salita, la Cresta di Santa Caterina, era venuta a Lidia e me la settimana prima, mentre con Marco e Marinella, percorrevamo il sentiero dei Camosci dal Monte Moro al Rifugio Sella. Il caso... a distanza di pochi anni, due dei quattro compagni di giochi di quella gita, "sono andati avanti" cadendo quasi nello stesso posto e sono entrambi ricordati al cimitero di Macugnaga da due piccole lapidi in ottone, uguali, in mezzo a tante altre, tutte uguali, tutti "andati avanti".
Con Marco, a cui è intitolata la Valle Intrasca di quest'anno, ho corso quella dedicata a Lidia di qualche anno fa e mi aveva fatto molto piacere tornare, e tornarci proprio con Marco, in una occasione così significativa per me, e rifare quel percorso su cui alcuni anni prima, e con qualche anno di meno avevo più e più volte gareggiato; sempre il tema della fatica cercata e sopportata per gioco e piacere che torna.
E adesso queste due persone non ci sono più ed entrambe mi mancano.. e molto.

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Nella storia della Maratona vi è un’edizione che chi c’era non può dimenticare. Era l’anno 1988 e una tremenda bufera di vento e di neve imposero la sospensione della manifestazione.  Così ricorda quella giornata Giacomo Ramoni:
“Quell’anno 1988 il tempo, già alla partenza, non si profilava clemente, ma nulla lasciava presagire una tale bufera sul Pian Cavallone.
Ero in coppia con Sergio Ramoni. L’abitudine ad andare in montagna ci aveva  consigliato, anche nelle edizioni precedenti della maratona, un equipaggiamento più vicino all’escursionismo alpino che alla scalata podistica. Questo ci avrebbe favoriti.
Ad Intragna già pioveva. Più su, ai primi alpeggi, il nevischio andava infittendosi. Procedevamo regolarmente poiché altre volte ci era capitato, nelle nostre escursioni in montagna, di trovarci in situazioni analoghe. In alto, però, il tempo era notevolmente peggiorato.
A Sunfaì vidi sortire dalla cortina di neve che ormai cadeva rapida e fitta, alcune figure che si intravedevano appena. Due, appaiate, sorreggevano quella di mezzo che mostrava un corpo reso blu per il freddo, appena coperto, come era, da una tenuta da podista. Rapidamente lo portarono nella loro baita. Noi due, assicuratici che l’uomo si stava riprendendo, continuammo l’ascesa.
Al Pian Cavallone il vento era fortissimo, gelato. La bufera di neve imperversava.
La giuria ci fermò per un’ora al rifugio, malgrado protestassimo di voler continuare poiché ci sentivamo in buone condizioni.
Rompemmo alla fine il diniego e, per mitigare la nostra disobbedienza, ci coprimmo con una coperta del rifugio. Passammo, così, la cima del Cavallone sferzati dal vento che sembrava sbalzarci di sotto.
Percorremmo la Colma ove gli alberi, contrastando la violenza dell’uragano,  ci permisero di riprendere a correre.
Sergio, sempre avanti, sembrava volare: avevamo gli scarponi e ciò favorì la nostra discesa.
Volevamo scendere al più presto per uscire dai pericoli.
Al posto di controllo della cappella Fina lasciammo le coperte e cominciammo a calare verso Verbania mentre il tempo, mano a mano che ci abbassavamo, mitigava la sua inclemenza.
Arrivammo ad Intra per ultimi. Eravamo la trentanovesima coppia che raggiungeva il traguardo. 24 si erano ritirate.  Malgrado il tempo e l’ora di sosta forzata al rifugio, giungemmo in 6h56’11” (il tempo massimo era allora di 8 ore). Concludemmo  così la  prova, che superammo certamente per l’abitudine ai comportamenti dettati dalla frequentazione montana, anche di alta quota.”